Il dolore cronico: come affrontarlo

Cambiamo il trattamento dei pazienti con dolore cronico.

Provate dolore in questo momento?
Secondo varie ricerche 1 persona su 5 quotidianamente, in tutto il mondo, prova dolore. Le persone che soffrono di dolore cronico avvertono maggiormente questo problema: esso procura molto fastidio e può limitare seriamente lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Un dolore cronico che affligge qualsiasi parte del corpo (schiena, ginocchia, collo, spalle) ha delle spiegazioni neurofisiologiche diverse rispetto ad un dolore di forma acuta e rappresenta un’esperienza complessa, multifattoriale e assolutamente personale: il trattamento fisioterapico dovrà essere diverso e specifico per ogni paziente e tipo di dolore.

Il dolore cronico (che chiameremo persistente) è una delle maggiori cause di disabilità al mondo. I dati di studi scientifici americani evidenziano come, a fronte di un enorme aumento di risorse spese nella sanità per fronteggiare questo problema, la disabilità connessa al dolore persistente continua ad aumentare.

Negli ultimi dieci anni il tradizionale modello biomedico del trattamento dei disturbi muscolo-scheletrici è stato messo fortemente in discussione. La visione del corpo umano come somma di organi in cui non viene considerata la dimensione psicologica e sociale ha portato la medicina ad affrontare questo problema in maniera mono-dimensionale, riduzionista e semplicistica, trovando delle soluzioni non efficaci.

I modelli biomeccanici e strutturali che si focalizzano su diagnosi puramente biomediche (vedi per esempio mal di schiena cronico, fibromialgia o artrosi del ginocchio) si basano sul fatto che deficit strutturali (degenerativi), biomeccanici o di controllo motorio portino a sviluppare dolore muscolo-scheletrico.

Ad esempio, per quanto riguarda il mal di schiena persistente (che è la prima causa di assenza dal lavoro al mondo), i soli segnali pato-anatomici come degenerazione, fissurazione o rottura dei dischi intervertebrali, artrosi delle articolazioni delle vertebre, “bulging” discali non sono predittivi di un conseguente dolore lombare. Ciò mette in evidenza come non si possa spiegare il dolore persistente basandosi solo sulla diagnostica per immagini (RX, Risonanza Magnetica ecc..) e sui reperti anatomici. Al contrario, fattori come la depressione, lo stress, i comportamenti cognitivi e fisici, lo stile di vita sono molto più predittivi per sviluppare un dolore lombare.

Bisognerebbe considerare anche i pazienti che raccontano le esperienze di molteplici trattamenti falliti, diagnosi conflittuali, perdita di speranza nelle cure e sempre maggiori sofferenze.

Le prove scientifiche, ormai, riconoscono la natura multidimensionale (non solo danni biologici ma implicazioni sociali e psicologiche) del dolore persistente: è un problema complesso, dove i livelli di disabilità sono strettamente associati agli aspetti cognitivi e comportamentali del dolore e non solo a quelli biomedici e sensoriali.

Un approccio fisioterapico moderno e basato sulle prove di efficacia scientifica, si focalizza di più sulla valutazione delle differenti combinazioni di credenze, categorie cognitive, fisiologia del dolore, stile di vita e comportamenti che sottendono e portano il paziente verso il dolore persistente.

I maggiori risultati positivi nel trattamento del dolore persistente, infatti, sono stati ottenuti grazie al miglioramento del distress psicologico, degli atteggiamenti di evitamento da paura, di auto-efficacia e di tutte quelle strategie volte a migliorare la gestione e il far fronte al dolore.

Anche se spesso i pazienti con dolore persistente continuano a ricevere diagnosi biomediche basate su false credenze; curati con miriadi di farmaci, infiltrazioni o nella peggiore delle ipotesi, con interventi chirurgici.

Questo approccio superficiale, oltre a non sortire gli effetti voluti, potrebbe peggiorare la situazione dei pazienti aumentandone la paura, rinforzando i comportamenti da evitamento, l’ipervigilanza connessa al movimento, la catastrofizzazione, lasciando che dolore e disabilità si auto-alimentino generando una situazione che il paziente non può di risolvere.

Il dolore cronico andrebbe valutato e gestito in un ambito multidimensionale: fattori neuro-fisiologici, cognitivi e fisici uniti allo stile di vita. La situazione cambia per ogni individuo e dovrebbe essere il personale clinico a identificare e valutare tutti i fattori psico-sociali che contribuiscono al mantenimento del problema del paziente.

Ogni clinico dovrebbe equipaggiare i pazienti che soffrono di dolore persistente con qualità come speranza, empatia, ricerca di aiuto positivo, adattabilità. Abbracciare una prospettiva della cura e della salute positiva, multidimensionale e incentrata sulla singola persona potrebbe portare i clinici a valutare il dolore persistente in una nuova luce, donando ai propri pazienti una nuova speranza e ponendo le basi per un percorso di innovazione, scoperta e cambiamento della propria condizione e del proprio dolore.

Bibliografia:

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O’Sullivan P. It’s time for change with the management of non-specific chronic low back pain. BJSM (2011).

Louw A, et al. Treat the patient, not the label: A Pain Neuroscience Update. Journal of Women’s Health Physical Therapy (2019).

Brodal P. A neurobiologist’s attempt to understand persistent pain. Scandinavian Journal of Pain (2017).

Articolo di Tommaso Terrarin, fisioterapista